Come nascono le leggende metropolitane?

Vipere dagli aeroplani, alligatori nelle fogne, pantere nelle campagne, autostoppisti assassini, prelievo coatto di organi, amanti incastrati: ognuno di noi conosce diverse leggende metropolitane. A qualcuna abbiamo creduto, e ad altre crediamo tutt’ora. Ma come nascono, e a che cosa servono queste storie capaci di diffondersi rapidamente di bocca in bocca, e ora di social media in social media?

Le leggende metropolitane (o, meglio, contemporanee, visto che non sono necessariamente ambientate in città) sono in genere dei brevi racconti ambientati ai giorni nostri. Il contenuto è presentato come veritiero, ma in realtà la natura apocrifa di queste storie emerge rapidamente anche a un superficiale fact-checking. Per esempio spesso raccontiamo o ci viene raccontata la storia del serpente tenuto come pet che comincia a stendersi nel letto di fianco al suo proprietario. Per fortuna un veterinario salverà l’appassionato di rettili spiegando che non si tratta di una prova d’affetto: anzi, l’animale sta prendendo le misure… Tralasciando il fatto che con un comportamento del genere i serpenti costrittori si sarebbero estinti, basta chiedere chi fossero di preciso le persone coinvolte per rivelare l’inattendibilità della storia.

Questo non significa che ripetendo una leggenda vogliamo necessariamente ingannare qualcuno, anzi. Spesso queste storie hanno elementi umoristici, pruriginosi o macabri, ma quasi sempre racchiudono un insegnamento morale o un avvertimento. Il famoso furgone bianco acchiappabambini riemerge periodicamente nelle famigerate chat dei genitori: segnalare un possibile pericolo sembra avere precedenza su tutto, a partire dal senso critico. Della serie: non si sa mai.

Esistono quindi paure ancestrali (per esempio di violenza da uno sconosciuto) o moderne (come l’avvelenamento ambientale) che reclamano la loro quota di leggende che, come dice l’adagio, possono avere anche un fondo di verità. Noi umani siamo infatti delle macchine generatrici di storie e creiamo narrazioni partendo da dati incompleti o male interpretati. Per esempio, è di queste settimane la notizia che la bambina lanciata dalla Greenfell Tower in fiamme e salvata dai soccorritori non sarebbe mai esistita. Eppure nei drammatici giorni successivi alla tragedia questa storia aveva fatto il giro del mondo. Una possibile spiegazione è che alcuni testimoni abbiano visto qualcosa, per esempio una persona tenere fuori dalla finestra un bambino per farlo respirare meglio, e che poi abbiano riempito i buchi con una storia di salvataggio.

Come spiega a Wired Roberto Labanti, studioso di storia del folklore e socio della International Society for Contemporary Legend Research, è però molto difficile risalire all’esatta origine di una leggenda metropolitana: “Spesso non abbiamo neppure modo di dire quando sono comparse. Oggi – grazie soprattutto ai processi di digitalizzazione – possiamo trovare traccia di strutture e motivi di diverse di queste storie in fonti di un passato più o meno remoto. Non dobbiamo però dimenticare che le leggende si trasmettevano soprattutto di bocca in bocca, e che le versioni cristallizzate in vecchi articoli di giornale, cronache o raccolte di exempla (racconti tipici della letteratura medievale) sono solo la punta dell’iceberg di qualcosa a cui non possiamo più accedere”.  

Per esempio le prime tracce di alcune leggende metropolitane risalgono a quando le metropoli nemmeno esistevano. Gli amanti incastrati, che ogni anno spuntano in qualche giornale o presunto tale, sono noti dal medioevo. L’ambientazione e i dettagli cambiano a seconda della località, ma gli elementi di fondo rimangono gli stessi.

Un altro esempio celebre è l’Autostoppista fantasma. Lo storico Cesare Bermani spiega nel libro Il bambino è servito: le leggende metropolitane in Italia (Dedalo 1991) che le tante varianti delle leggenda derivano da racconti diffusi almeno a partire dall’Ottocento. L’elemento fondamentale di questa storia, che termina con la scoperta sconvolgente che l’autostoppista era in realtà morto da tempo, è appunto un fantasma abbastanza solido da essere scambiato per un essere umano in carne e ossa. L’automobile, a sua volta un oggetto generatore di miti (citofonare Stephen King) compare successivamente e ha un’enorme fortuna.

“Questo non vuol dire che tutte le leggende contemporanee siano con noi da sempre – spiega ancora Labanti – molte probabilmente non hanno lasciato una discendenza, mentre altre sono indubbiamente nate di recente. Come ha sottolineato uno storico inglese che scrive con lo pseudonimo Dr Beachcombing, è difficile pensare a una versione medievale del barboncino asciugato nel microonde!”

Anche in Italia i folkloristi lavorano da decenni all’archiviazione di tutte le leggende metropolitane che emergono, e alla mappatura della loro diffusione. Dal 1990 esiste per esempio il CeRaVolc (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) fondato da Paolo Toselli, ma non è un compito semplice, vista la natura di questi racconti. Si tratta però solo di memi impazziti che si riproducono egoisticamente, o possiamo immaginare una funzione sociale per queste narrazioni?

Secondo Sofia Lincos, esperta di leggende metropolitane del Cicap, in molti casi servono a veicolare informazioni e consigli sui pericoli del mondo: “È facile pensare che la leggenda della ragazza abbordata in discoteca, che al mattino lascia scritto sullo specchio ‘benvenuto nel mondo dell’Aids‘ o che si rivela una spietata trafficante di organi, serva a mettere in guardia i giovani contro i pericoli dei rapporti occasionali”.

Spesso si tratta comunque di pericoli solo percepiti e non reali; non a caso alcune leggende sfruttano in larga misura cliché razzisti, come quelle sui rom che rapirebbero i bambini o sui ristoranti cinesi che servirebbero carne di cane.

“Studiando la diffusione di una leggenda è possibile capire quali sono le paure e gli stereotipi più diffusi”, prosegue Lincos. “Prendiamo ad esempio la leggenda del terrorista riconoscente: presente originariamente solo in Gran Bretagna, aveva per protagonista un uomo con accento irlandese che si rivelava un pericoloso terrorista dell’Ira. Dopo l’11 settembre questa storia ha cominciato a girare in tutto il mondo occidentale, riferita però a un arabo o comunque un uomo dalle fattezze mediorientali, che in cambio di un favore avvisa il benefattore di non andare in un particolare centro commerciale o non bere Coca Cola a partire da una certa data. Ed è una storia che ciclicamente ritorna anche in Italia, soprattutto in seguito a attacchi terroristici o nei periodi in cui questo fenomeno viene percepito come più incombente”.

Dal punto di vista psicologico, le leggende possono infatti servire anche a gestire l’ansia verso particolari paure: “Se ci è sufficiente evitare un certo centro commerciale per non essere colpiti da un attacco terroristico, possiamo rilassarci e non pensarci troppo. Così come il sapere che i ladri segnano le case con particolari simboli può servire a andare con più tranquillità in vacanza, sapendo che quel simbolo sui nostri citofoni non c’è”.

Molte leggende però si diffondono semplicemente perché funzionano. Alcuni personaggi delle leggende metropolitane hanno talmente successo che diventa inevitabile il passaggio ai libri e al cinema. Per esempio Slender Man, la diabolica creatura senza volto, è nato solo nel 2009 in un forum su internet. Da allora non solo è stato preso abbastanza seriamente da ispirare un accoltellamento (un caso drammatico di ostensione della leggenda), ma ha al suo attivo videogiochi, libri, fumetti, documentari, graffiti e nel 2018 è atteso il primo film di Hollywood.

“Insomma –  conclude Lincos – a tutti piace raccontare (e farsi raccontare) una buona storia”.

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Credits: WIRED


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