Tim Cook agli studenti: Mi confronto col fallimento ogni giorno

Firenze — L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori festeggia la maggiore età, e tra gli invitati all’inaugurazione del suo diciottesimo anno di vita c’è un ospite d’eccezione: il numero uno di Apple, Tim Cook. È dal 2000 che l’organo promuove, tra le sue varie attività, anche l’iniziativa di media literacy “Quotidiano in Classe”, che mette in mano a milioni di alunni delle scuole superiori giornali da leggere collettivamente per un’ora di lezione alla settimana; è proprio con i 1000 rappresentanti degli studenti partecipanti al progetto che questa sera il CEO della casa di Cupertino ha instaurato un dialogo sul tema del futuro delle notizie, online e offline.

Cook non è il primo personaggio di rilievo del mondo hi tech a inaugurare le attività dell’Osservatorio; prima di lui, già personalità del calibro del numero uno di Google Eric Schmidt e di quello di 21st Century Fox James Murdoch sono salite sul palco ospiti dell’organizzatore e ideatore Andrea Ceccherini, che lo scorso anno ha ospitato anche il cofondatore di WhatsApp, Jan Koum. Tutti hanno discusso dell’importanza di un approccio ai mezzi di comunicazione adeguato ai tempi dell’informazione digitale, tempi che da questo punto di vista negli ultimi anni si sono fatti a dir poco turbolenti.

Il trionfo del modello di consumo delle notizie online ha infatti accelerato esponenzialmente un processo che ora sembra inarrestabile: l’assottigliarsi, di giorno in giorno e scandalo dopo scandalo, del confine tra news e fake news, una tendenza che né i governi né le corporation che si sono fatte veicoli di questi contenuti sembrano riuscire a invertire da soli. In attesa che efficaci soluzioni di concerto prendano vengano trovate e messe in atto, la soluzione arriva dall’educazione: come con un muscolo che va tenuto in esercizio, è solo allenandosi alla lettura e al confronto tra le fonti che si sviluppano lo spirito critico necessario e gli anticorpi necessari a immunizzare il singolo e le comunità dal potere venefico delle notizie fasulle e fabbricate ad arte.

Ecco spiegata la presenza di Cook all’Osservatorio. Da una parte il numero uno di Cupertino non ha mai fatto mistero della sua avversione al fenomeno delle fake news: a inizio 2017 ne aveva già riconosciuto pubblicamente il potenziale tossico definendolo in grado di “uccidere la mente delle persone”. Qui ha elaborato il concetto: “Il problema alla base delle fake news non risiede nel loro contenuto in sé ma nel fatto che vengono sistematicamente utilizzate per polarizzare sempre di più la società.

È l’effetto che provocano a essere dannoso

L’antidoto è “lo sviluppo del pensiero critico, strumento che consentirà a questi ragazzi di progredire”. D’altro canto quello dell’educazione delle nuove generazioni è un tema che era già caro alla Apple di Steve Jobs, e che nell’era di Tim Cook ha assunto un’importanza ancora maggiore nella lista delle priorità dell’azienda. “Ciò che è in grado di renderci tutti uguali tutti è proprio l’istruzione: per questo è prioritario poterne dare una di qualità a tutti quanti, perché crea uguaglianza”.

Ma nel corso dell’incontro non si è parlato solo di fake news e istruzione. Silvia di Verona ha voluto sapere come farà l’intelligenza artificiale a trasformare le nostre vite. La risposta: “Aiuterà i dottori a diagnosticare malattie, solleverà gli esseri umani dai compiti più noiosi, li aiuterà a passare più tempo facendo ciò che amano. Occorre però infondere umanità al suo interno, in modo che aumenti le nostre capacità umane anziché intralciarle“.

Come tutte le tecnologie non è intrinsecamente buona né cattiva

Confrontato sulla tragedia di Las Vegas, Cook l’ha definita “un atto di terrorismo”, per il quale “non basta esprimere tristezza per le vittime e le famiglie, ma occorre fare un passo indietro per chiedersene il motivo; avere onestà intellettuale a riguardo. Oggi negli Stati Uniti la situazione è molto polarizzata e politicizzata: dal mio punto di vista, anche se questi temi sono molto complessi ci sono persone ragionevoli che possono unirsi per cerare di trovare delle modalità per cambiare la situazione”.

Si è parlato dei dreamer: “Alla Apple lavorano più di 250 dreamer: l’America è stata fondata da migranti. Tutti i nostri antenati lo erano, anche le persone di cui parliamo oggi, che contribuiscono alla collettività. Vogliamo che queste persone abbiano il permesso di rimanere negli Stati Uniti”.

Sulla ricetta per creare prodotti di qualità, Cook lascia agli studenti un consiglio di più larghe vedute: “Vi incoraggerei fortemente a prendere in considerazione un’università che vi obblighi a guardare al di fuori del proprio campo d’azione. Perché è il mix, il potere della diversità che crea i migliori prodotti e le migliori esperienze per le persone”. Jobs del resto ragionava in modo simile: “Credeva che i colleghi migliori fossero come un’orchestra, e voleva che le persone attorno a lui facessero parte di un mosaico. Eravamo molto diversi, ma complementari: gli era piaciuto il fatto che avessi delle opinioni ben definite, a prescindere dal fatto che fosse d’accordo o no. Le persone che andavano d’accordo con lui erano quelle in grado di esporre il proprio punto di vista, in una sorta di battaglia delle idee. Non voleva yes men attorno”.

C’è stato infine modo di parlare degli ultimi momenti del fondatore del gruppo, Steve Jobs e del passaggio di consegne con Tim Cook: “Quando Steve mi ha detto che voleva prendessi in mano le redini dell’azienda è stato 6 settimane prima di andarsene: l’idea era che lui potesse comunque mantenere il controllo del gruppo pur avendo la possibilità di lavorare meno. Quando divenne chiaro che la situazione non era sostenibile mi disse di avere il timore che Apple potesse vivere un momento simile a quello vissuto dalla Disney quando il fondatore morì. Le persone rimasero paralizzate, chiedendosi costantemente come Walt avrebbe mandato avanti la società, ma come conseguenza la società si bloccò. Lui mi ordinò di non pensarla mai così, ma di fare sempre e comunque a modo mio. Ebbene quel consiglio ha lasciato un peso enorme sulle mie spalle: è stato anche il dono più grande che nessuno mi abbia mai fatto in vita mia. Ho seguito quel consiglio, e la verità è che il fallimento è qualcosa con la quale mi confronto ogni giorno. Eppure il fallimento non è mai un concetto definitivo: quando sbagli qualcosa, l’unica cosa importante è ripeterti che qualunque cosa sia, passerà. Io vi garantisco che succederà. Per me è sempre stato così”.

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Credits: WIRED


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